Questa risposta è impossibile. Sto cercando di capirlo da sempre. Non basta una vita. Nel mio corpo ho un unico tatuaggio, una piccola scritta in greco antico che riporta la frase incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: γνῶϑι σεαυτόν ovvero “conosci te stesso”. Missione assoluta che vale la vita intera.
Tanti “io” ci attraversano nel corso di un’esistenza, siamo tante cose che ci accompagnano nella nostra rotta, nella nostra strada maestra, una sorta di coerenza… quello che i greci chiamavano daímon. Ognuno ha il proprio demone che lo muove. Credo che il mio sia quello della curiosità assoluta, totalizzante. La ceramica è il mio strumento di condensazione, l’alambicco con cui distillo e cristallizzo ciò che mi attraversa. Siamo strumenti in balia di chissà chi e di chissà cosa.
Per essere il più fedele possibile alla mia natura, al mio demone per l’appunto. Cercando di farmi influenzare il meno possibile dai grandi agenti di questa contemporaneità. Le scelte, le modalità, gli interessi, gli acquisti, le sfumature (soprattutto le sfumature!) sono scelte politiche. In un mondo spoetizzato e antiestetico (quindi antietico), divenuto un enorme frullatore per le masse ciò che si può fare di più potente, di più incisivo, di più vero è lavorare sulla nostra vita affinchè le scelte che facciamo, gli interessi, il modo di relazionarci siano una chiara dichiarazione di intenti politici. Contro le forze centripete che ci attirano all’interno di vortici che non ci appartengono, tenere “la propria rotta” è una dichiarazione di guerra totale!
Nella mia ricerca artistica le cose più disparate possono dare l’input a un dipinto, a un pezzo ceramico, a un’intera serie. Osservo molto le piccole cose della natura, lo svolgersi dei movimenti ciclici e i loro risultati. Il dischiudersi di una gemma di gelso, un osso di seppia, i licheni, le rocce lavorate dal vento, il vello di una capra, il cangiantismo di uno scarafaggio, i riflessi in un guscio di conchiglia, in un iride… in queste cose c’è davvero tutto. Poi da sempre tanta musica e tanta poesia, quest’ultima fondamentale in quanto maestra nel insegnare a discernere ciò che conta dal superfluo. Per quanto riguarda le arti plastico-figurative seguo poco il contemporaneo, ci butto un occhio dallo spioncino ogni tanto, ma non sono interessato alle contingenze del presente così intrise di attualità, moda, tendenze, eventi, mondanità… dove per la maggiore si scopre il già scoperto. S’imbelletta, si addobba, si trucca il già fatto, è tutto un lavoro di maquillage e story-telling. Bisogna davvero prendere le distanze dalle luci, dalle grammatiche, dai codici e dai dispositivi contemporanei. La storia non esiste, di quello che si fà bisogna render conto più ai morti che ai vivi. Lo scopo dell’arte è quello di emanciparci dalla necessità e dallo scorrere del tempo. Per me tutto si sviluppa in orizzontale. Non c’è gerarchia. Il passare del tempo non fa progredire un bel nulla. Un affresco pompeiano sta sullo stesso piano di un CyTwombly così come una statua di Skopas sta ad un Brancusi. Un “merletto veneziano ad ago punto piatto” è un capolavoro quanto un Beato Angelico o una tigre di Antonio Ligabue. Ciò che vibra non subisce le vessazioni di Cronos e della catalogazione da scaffale. Ma se proprio bisogna avere una bussola, l’unica componente che davvero fa la differenza è l’elettricità dell’opera, la sua carica esplosiva.
Bisogna solo chiederci se quello che stiamo vedendo è un qualcosa che scoppia o meno. Davvero tutto sta qui: Pan danza o dorme?
Penso che già si capisca dalle risposte precedenti. Lavorare per tutto ciò che genera vita, che ha potenziale di vita. Cercando di essere molto lucidi su ciò che ci sta attorno. Dribblare l’atteso anzi evitarlo. Lavorare per l’inatteso, per la sorpresa che scavalla un ordito o una trama prefissata, nell’arte come nella vita. Ma soprattutto essendo il più possibile se stessi, cercando di proteggerci da tutti gli agenti esterni che ci vogliono numeri, utenze, consumatori, spettatori. Il pericolo più grande è quello di modificare la propria natura per scopi che non ci appartengono.
In definitiva adoperarsi per la “grazia” in un’epoca sempre più disgraziata.
Penso che oggi la più alta forma di ribellione sia quella di riuscire a rimanere fedeli a se stessi; senza voler a tutti i costi emulare gli altri, o tentare di nascondere quelle che riteniamo possano essere le nostre debolezze. Io credo che in realtà siano proprio queste a renderci speciali, perché espressione della nostra sensibilità. Quindi, forse, essere ribelli oggi può significare avere il coraggio di amarsi e riconoscersi proprio nelle nostre imperfezioni.
We think life is too short to wear clothes that do not represent us.
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